Il porto franco di Trieste è una novità di tale forza (epocale) per il nostro territorio, talmente rilevante, da essere una pagina di svolta per l’intero sistema economico e sociale in Friuli Venezia Giulia. Il Friuli non può che salutare con grande soddisfazione il risultato sul porto di Trieste, perché le conseguenze in termini di relazioni internazionali, domanda di nuove professionalità, di maestranze, di manager coinvolgerà tutti in una nuova bella avventura. Per altro, la linea che Tessitori, settant’anni fa, e gli altri avveduti autonomisti avevano auspicato e cioè che la natura della nostra regione è per vocazione portatrice di pace con gli Stati limitrofi, oggi diremmo portatrice di progresso e sviluppo nell’Europa delle Regioni, pare trovare conferma in una occasione come questa.
Non ho parlato con Agrusti o con i rappresentanti del mondo economico pordenonese,certo che se la “strategia” fosse: alleiamoci con Treviso e Trieste e chi se ne frega di Udine, la riterrei una sciocchezza, ma son sicuro che chi si occupa di sviluppo e progresso non può ragionare per “confini”, né per schemi che forse in passato hanno avuto senso, ma che oggi sarebbero asfaltati dalla globalizzazione e dall’internazionalizzazione. Internazionalizzazione che è, senza dubbio, la forza, la riconosciuta capacità di stare sul Mercato dei friulani. Tutti.
Rimango, per altro, convinto che l’Istituzione Friuli Venezia Giulia rimanga concreto strumento nell’Europa delle regioni e mezzo per favorire l’affermazione delle migliore qualità dell’economia friulana.
Al di là delle legittime singole considerazioni, un “sistema” economico come quello del nostro territorio non può sopravvivere l’uno senza l’altro, se mai il tema è come migliorare la rete delle relazioni industriali in Friuli.
Sono convinto che Udine e il suo territorio sia una “cerniera” ideale delle tante esperienze ed esigenze del policentrico Friuli. Ma il “dibessoi” come ripete da tempo e giustamente il presidente Da Pozzo, non può essere la chiave di qualsivoglia autonomia, che significa che nessuno di noi vecchi e nuovi politici, può usare la diffidenza o la supposta superiorità per concludere sul da farsi. Una nuova classe dirigente politica ed economica, non sfugge da queste regole e il Friuli ha donne e uomini all’altezza della situazione. È indispensabile creare e sostenere un “motore “di nuove relazioni, di nuova capacità di “governance” che a partire da Udine e insieme agli altri, possa proporre nuove soluzioni per guardare a un futuro che ritorni a dare opportunità alla nostra società. Le condizioni ci sono purché né il pregiudizio, né la superficialità prendano il sopravvento.
Oramai dobbiamo pensare a città territorio, a territori “motori cognitivi” come si dice oggi, motori organizzati dello sviluppo, secondo le indicazioni che ci vengono dall’Europa delle città e delle regioni.
Il Friuli ha puntato su imprese sempre più ad alto tasso di redditività e a reti di istituzioni in cui cultura di alto rango e Innovazione sono i fari illuminanti. Con una provocazione direi che invece di guardare all’immediato ovest, all’immediato Veneto guaderei al nord e a all’est. E per questo è necessario cambiare i modelli di “governance”, cioè il “chi” è il “come” si governano i processi, in particolare nei servizi all’economia.
Il Friuli può riuscirci ma ci vuole uno sforzo di cultura del territorio rinnovata. Anche perché se c’è la novità del porto di Trieste, c’è da organizzare il Friuli, anche in quella direzione, incrociando le nuove opportunità dal mare, ai nuovi flussi con il centro Europa con la quale il Friuli ha già i suoi originali rapporti.

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